È arrivato ieri nel tardo pomeriggio in città il Governatore della Banca d’Italia per visitare l’Archivio storico della Fondazione Banconapoli, accompagnato dal presidente Daniele Marrama e dalla professoressa Lilia Costabile,
coordinatrice del convegno The rise of modern banking in Naples. A Comparative Perspective, organizzato congiuntamente dalla stessa Fondazione Banconapoli, dall’Università Federico II e dalla Banca d’Italia, che si
conclude oggi proprio con l’intervento di Ignazio Visco. Nel corso della visita attraverso alcune delle 330 stanze del più grande archivio bancario del mondo, il suo direttore Eduardo Nappi gli ha mostrato il percorso multimediale Kaleidos. In serata Visco, insieme ai banchieri internazionali presenti al seminario provenienti da tutto il mondo, americani, inglesi, portoghesi, austriaci, tedeschi, e, naturalmente italiani , ha partecipato a una cena al Circolo dell’Unione a due passi dal teatroSan Carlo.
L’intervento conclusivo del governatore di oggi sarà preceduto dal dibattito Between past and present al quale prenderanno parte i più noti economisti mondiali presenti a Napoli, gli americani Gerald Epstein e DevikaDutt, dell’Università del Massachusetts, nonché Barry Eichengreen dell’Università di Berkeley, l’inglese Charles Goodhart della London School of Economics, e l’italiano Adriano Giannola, in rappresentanza dell’Università di Napoli Federico II.
Nel corso del dibattito di ieri, secondo giorno del seminario, si è discusso, tra l’altro, sul fatto che la questione meridionale nacque già tra il 1550 e il 1617, quando le realtà economiche del Nord erano molto attive e quelle del Sud più legate ad attività tradizionali.Il professor De Luca, dell’Università di Milano, ha spiegato come in Lombardia perfino la Chiesa fosse diversa da quella del Mezzogiorno sulla condanna dei prestiti a interesse: «Nel 1578 l’Arcivescovo di Milano che poi sarebbe stato fatto santo, Carlo Borromeo, riunì i banchieri per dire loro che una remunerazione del 10% sul denaro movimentato sarebbe stata accettabile».
«Non c’è dubbio che ci fosse un confronto, proseguito per molto tempo, tra due opposte correnti di pensiero, perché a Napoli tra fine ‘500 e inizi del ‘600 prevaleva invece una opinione diversa, che puntava il dito contro il cambio per arte, accusandolo di essere uno strumento speculativo al fine di guadagnare su acquisti e vendite delle letteredi cambio» ha chiosato Lilia Costabile.
Spulciando tra le migliaia di carte conservate nell’Archivio con l’aiuto del suo direttore Eduardo Nappi, vera memoria storica di quest’immenso patrimonio, emergono storie incredibili e inedite. Sfogliando, per esempio, i libroni dell’Archivio, si può smentire la diceria in base alla quale Mattia Preti, il noto pittore seicentesco, avrebbe ucciso nel 1653 una guardia del Regno di Napoli per entrare in città durante la peste, in quanto è conservata
la ricevuta del pagamento di 1500 Ducati che l’artista ricevette dal Comune partenopeo per dipingere su sette porte della città, opera che si è parzialmente salvata solo sulla Porta di San Gennaro. Ciò dimostra, infatti,
che Preti era già qui e lavorava regolarmente su commissione delle Chiese e dei privati. Così come la triste storia del colonnello borbonico Oronzo Massa, un aristocratico che si convertì a rivoluzionario aderendo nel 1799 alla Repubblica Napoletana, il quale si era innamorato di una ragazza chiusa in convento in quanto orfana di una
famiglia spagnola.Dai carteggi dell’Archivio si ricava che lui firmò la resa al cardinale Ruffo che gli promise salva
la vita, ma l’ammiraglio Nelson, che le batterie de i cannoni di Massa avevano tenuto a lungo lontano da Napoli, non rispettò i patti e il generale fu ucciso. Dopo la sua morte la ragazza tornò in convento e con l’arrivo dei francesi in città ricevette nuovamente l’appannaggio che aveva perduto quando era andata a convivere con il generale.
Tratto da Corriere del mezzogiorno articolo di Emanuele Imperiali